Di Fabio Marino e Vincenzo Festeggiante
Ph. Autori vari
Pantelleria non è solo mare. È un’isola che respira, fuma, sussurra. Il Club Alpino Italiano, sezione di Erice, l’ha scelta come meta per la sua tre giorni di escursioni dal 25 al 27 aprile 2025. Un gruppo eterogeneo — tra soci esperti, camminatori abituali e qualche novizio — si è ritrovato lì, con scarponi ai piedi, zaini e bastoncini, pronti ad ascoltare l’isola con le gambe, prima ancora che con le parole.
25 aprile – Il sentiero delle Favare
Il primo giorno è stato un giro ad anello partendo dal parcheggio del “bagno secco” di Benikulà. Poco più avanti, davanti a una fessura nella roccia, abbiamo visitato la grotta del “Bagno Asciutto”, dove il vapore geotermico crea una sauna naturale. Uno alla volta siamo entrati, avvolti dal vapore che saliva da sotto i nostri piedi. Un inizio insolito, quasi rituale.
Il paesaggio poi si è aperto, spoglio e ventoso. Attraversando il Passo del Vento, ci siamo trovati esposti a raffiche improvvise che scuotevano arbusti e pensieri. Ogni tanto qualcuno si fermava per osservare la valle sottostante o per cambiare abbigliamento, poi via di nuovo, con il sole che cambiava inclinazione sopra di noi.
La Fossa del Russo, un antico duomo lavico, ci ha accolto con la sua imponenza silenziosa. Da lì siamo scesi verso “U Fitènti”, zona ricca di argille e zolfo. Il terreno cambiava sotto i nostri passi: rosso, giallo, ocra. A un certo punto, ci siamo fermati davanti alla Favàra Grande, la più grande fumarola dell’isola, che sembrava respirare al nostro passaggio. Atmosfera incredibile e un vento forte ci costringeva a stare al riparo di un vecchio casolare militare.
Nel pomeriggio, la discesa verso Rahàli e la valle di Monastero ha rivelato un volto più umano dell’isola. I dammusi, i vigneti, i giardini circolari protetti da muri a secco. C’era una bellezza concreta, senza fronzoli, fatta di fatica e adattamento. Il rientro è stato in salita, sotto un sole cocente. Solo silenzio, fatica e passi. La prima giornata si è chiusa così, con il sole e i volti segnati dalla soddisfazione di aver percorso un magnifico itinerario.
26 aprile – Montagna Grande
Il secondo giorno è stato diverso. Più bosco, più ombra. Siamo partiti in prossimità della cima di Montagna Grande, nei pressi dell’area attrezzata dove abbiamo parcheggiato le auto. Con noi la competente guida Giavito Rodo, nonché socio dei Cai Pantelleria. Imboccando il sentiero, il paesaggio si è mostrato verde, fatto di pini e querce che dopo un po’ hanno lasciato spazio a una vegetazione più fitta, umida, profumata di mirto e rosmarino. La salita verso la cima della Montagna Grande è stata lenta ma costante, dentro un silenzio interrotto solo dai passi e dal canto degli uccelli.
Una volta in cima, il panorama era totale. A est, il cono perfetto del Monte Gibele. A sud, la Cuddia Attalora. Lì ci siamo fermati a lungo. Nessuno aveva fretta. Ogni tanto qualcuno indicava un dettaglio, una linea nella lava, una casa lontana. Abbiamo poi fatto una sosta presso il Bosco delle Fate, un posto incantato dove la nostra guida ha descritto quello che avremmo visto da lì a poco, la Grotta dei Briganti, una storia affascinante.
La discesa ci ha portato verso la torre militare e poi ancora giù, tra massi erosi dal vento. Alcuni avevano forme strane, scolpite dal tempo. Ogni curva offriva un nuovo scorcio, un nuovo frammento dell’isola da decifrare. Il sentiero ci ha portato a Kùddia Mida, qui la terra cambia ancora: rossa, gialla, viva. Si sentono ancora le esalazioni dal terreno. Un promemoria che sotto l’isola, qualcosa pulsa ancora.
Siamo tornati al parcheggio di Sibà Alta nel tardo pomeriggio. Le gambe erano stanche, ma lo sguardo era più aperto. Come se qualcosa fosse cambiato nel modo di osservare.
27 aprile – Le lave del Gelfisèr
L’ultimo giorno è iniziato sulle rive dello Specchio di Venere. L’acqua immobile rifletteva il cielo e il silenzio faceva da contorno ad una vista spettacolare. Il primo tratto del sentiero ci ha portato intorno al lago, poi dentro una lecceta che sembrava uscita da un altro tempo. La pendenza è notevole ma siamo solo all’inizio e le energie non mancano.
Man mano che ci avvicinavamo al Gelfisèr, il paesaggio diventava più ruvido. Una sciara nera, dura, che saliva e scendeva. Sembrava un fiume di pietra. Le salite erano secche e spesso pietrose. Ma ogni fatica veniva ricompensata da un’ampiezza visiva che lasciava senza parole. Non c’erano suoni, se non quelli dei nostri passi, il silenzio regnava.
Abbiamo attraversato zone agricole curate con attenzione: dammusi bassi, muri in pietra, giardini panteschi tondi e vigneti che disegnavano geometricamente il paesaggio. Nessun eccesso, tutto in equilibrio. Come se l’uomo qui avesse capito che si può abitare senza disturbare.
L’ultima discesa ci ha riportato al lago. Era più tardi, la luce era più calda. I volti erano stanchi, ma soddisfatti. Alcuni si sono seduti in silenzio, altri hanno camminato ancora un po’ intorno allo specchio d’acqua, altri ancora hanno messo a mollo i piedi nell’acqua fresca del lago, quasi a rimandare il ritorno.
Che dire, tre escursioni in un’isola che non concede niente, ma regala molto. Nessuna grande impresa, nessuna vetta da record. Solo cammino, ascolto, osservazione. Il CAI di Erice ha saputo vivere Pantelleria senza forzarla. Ha scelto sentieri che raccontano la geologia, la natura incontaminata, la fatica contadina, la resistenza al vento e alla solitudine.
Chi c’era, ora sa che Pantelleria non è un’isola da visitare. È un luogo da attraversare. A piedi. Con calma.
Grazie a
I direttori: Vincenzo Festeggiante – Katia Pellegrino – Gaspare D’Avaro